Le storie di Olimpia, detta Pimpaccia, e di Luciola sono strettamente legate. Si potrebbe quasi dire che rappresentino le due facce della stessa medaglia. Olimpia Maidalchini, nobildonna Romana del 1600, andò in sposa ad un esponente della famiglia Doria Pamphili, famiglia che per un lungo periodo fu proprietaria del Castello di Alviano. Sposandosi, Olimpia ereditò questa fortezza e la trasformò a sua immagine e somiglianza. Non soltanto nell’aspetto e nell’arredamento ma, soprattutto, negli usi e costumi. Si racconta che Olimpia fosse una donna dissoluta, avida, dedita alla malvagità e ai piaceri della carne. La sua condotta le fece guadagnare l’appellativo di Pimpaccia, nome elaborato da Pasquino in persona che, nelle sue poesie e stornelli, di lei diceva: “Chi dice donna, dice danno, chi dice femmina, dice malanno, chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina”. Come ogni nobildonna, Olimpia aveva al suo fianco alcune fedeli dame di compagnia, tra queste, Luciola. La giovane Luciola era innamorata di Tommaso di Gramiccia, detto il Ramicciaro. Il suo amore era corrisposto, Tommaso provava per lei i medesimi sentimenti, ma, qualcuno, di proposito, si frappose al loro amore. Donna Olimpia, gelosa delle attenzioni riservate alla sua dama, rivelò a Tommaso che Luciola riservava le stesse attenzioni anche ad un altro cavaliere. Incontrandolo, lasciò cadere un fazzoletto, un chiaro invito a raccoglierlo e restituirlo. Il giovane Tommaso seguì allora la nobildonna nelle sue stanze private, dove fu nutrito con ogni prelibatezza. La cena ebbe un epilogo scontato e i due passarono la notte insieme, nella camera di Donna Olimpia. Una volta scoperta, Olimpia accusò Tommaso di essersi introdotto nelle sue stanze contro la sua volontà e il giovane fu gettato nei sotterranei dove fu trafitto da alcune lame e lentamente morì. A Luciola non fu mai rivelato questo segreto e aspettò Tommaso invano, per molti anni. Pare che la stessa fine di Tommaso sia stata riservata a diversi giovani e, per questo motivo, Donna Olimpia viene ricordata per la sua malvagità. Molti anni dopo, alcuni restauri, avvenuti soprattutto nelle segrete e nei sotterranei del Castello, hanno portato alla luce un gran numero di ossa e di lame affilate. Ecco perché ad Alviano non tutti sono convinti che si tratti soltanto di una leggenda.